La mancanza di fiducia nelle persone è qualcosa che può davvero far sentire molto soli. Ci si isola sempre di più o anche ci si riempie di persone intorno con cui passare le giornate e le serate e magari le nottate, senza però creare rapporti sicuri con nessuno.
Come molte altre persone anche Matteo si è presentato al mio studio dicendo: “Soffro d’ansia”. Sente uno stato di agitazione abbastanza generalizzato e ha avuto anche qualche attacco di panico. Matteo è un uomo socievole, sveglio, cerca di piacermi e sento che si impegna per farmi stare a mio agio, mentre lui chiaramente non lo è. Qualcosa in lui mi rimanda una sensazione di trascuratezza di sé, pur essendo in realtà curato e in ordine.
Fa fatica a parlare di sé e mi lascia il compito di condurre i colloqui. Indago la storia del sintomo, quando è comparsa l’ansia, in quali occasioni gli attacchi di panico. A domanda, risponde.
Gli chiedo se nella sua vita ci sono stati eventi traumatici, vissuti direttamente da lui o anche dalla sua famiglia, in particolare mamma, papà e fratello. In effetti sì, sua mamma ha avuto un aborto molto doloroso, sua sorella minore ha avuto un grave incidente quando lui era più piccolo.
Ma se gli chiedo della famiglia, di come sono le relazioni tra i vari membri la risposta è sempre: “Tutto normale, tutto bene”. Ogni tanto gli dico che mi sembra triste, che lo vedo malinconico e lui mi risponde “No, forse sono stanco, o magari è l’allergia”. Ok. Si fa fatica a passare, è molto protetto.
Piano piano, a spizzichi e bocconi, riesco ad ottenere qualche informazione sulla sua storia famigliare. La mamma più di una volta è stata violenta; il fratello maggiore, che vive al confine con la criminalità, anche; il padre è assente emotivamente. Il padre ha un negozio di parrucchiere, ha sempre lavorato ma la famiglia ha comunque sempre fatto fatica a livello economico.
Quando gli domando a chi chiedeva aiuto da bambino quando aveva bisogno o paura mi risponde: “Boh, non so, facevo da solo credo”.
Matteo ha imparato presto qualcosa sul mondo, del tipo: “Il mondo è pericoloso”. Ha imparato qualcosa sugli altri del tipo: “Sono imprevedibili e vanno controllati”; e poi qualcosa su di sé del tipo: “Io non valgo niente e non sono degno d’amore”.
Sento chiaramente il suo bisogno di controllarmi: non mi stacca gli occhi di dosso mai, anche quando sta in silenzio. Soprattutto, controlla come io reagisco alle cose che mi racconta. Mi sento scrutata. Spesso con lui sento il peso della fatica di aver davanti una persona che vuole essere lì e contemporaneamente vorrebbe essere da tutt’altra parte. Ma torna, tutte le volte. Sento che il nostro rapporto è ancora molto fragile ma sento anche un profondo stato di bisogno. E sento che lui ripone in questo lavoro con me grandi speranze; contemporaneamente nega dentro di sé l’importanza della nostra relazione.
Cerchiamo diverse volte di lavorare direttamente sui ricordi più traumatici legati all’ansia, ma non si passa neanche lì. “Con me non funziona, dovrò stare qui per mille anni” mi dice Matteo sconfortato. A nulla valgono le mie parole che ripeto come un mantra: la mente fa sempre quello che le serve, se non è ancora tempo di passare va bene così, vuol dire che ha bisogno di questo. Lui però si sente incapace di fare anche il paziente.
A questo punto gli rimando quello che sento dentro di me, lo sconforto e la sensazione che lui sia venuto da me perché soffre, ma poi si mette di traverso quando gli offro il mio aiuto. E fu così che lui mi rispose: “Io non ho fiducia nelle persone”. Ok. Questo era un punto di partenza. Lui si riferiva alle sue relazioni sentimentali, da cui era stato più volte deluso. Lasciato, tradito, ingannato.
Quando viene da me ha una specie di relazione clandestina con una donna sposata e che vive in Germania. Insomma, una relazione senza alcuna prospettiva concreta. Gli faccio notare quanto questo tipo di relazione sia molto sensato quando c’è una mancanza di fiducia nelle persone. Partire già con un altro non disponibile è un ottimo modo per non rischiare di essere delusi. Ma anche quelle relazioni antecedenti a cui lui attribuisce la causa della sua mancanza di fiducia nelle persone in realtà sembrano proprio un modo per proteggersi. Infatti ha sempre scelto persone che gli hanno fatto del male, lo hanno lasciato, maltrattato perché in qualche modo in realtà questo lo fa stare “meglio”.
Queste relazioni confermano quello che lui sente da sempre: che non vale, che non è degno d’amore, che gli altri non sono affidabili. Con tutto questo lui è cresciuto, lo vive dal primo giorno della sua vita e quindi in qualche modo ha imparato a gestirlo. È questo quello che sa ed è questo quello che istintivamente va a cercare. Infatti è a quel tipo di partner che gli viene spontaneo rivolgersi a causa della sua storia di attaccamento; ed è in quel territorio che “sa come si fa”, conosce le regole del gioco, conosce il suo ruolo e quello degli altri.
Il suo inconscio, per non rischiare legami troppo sconvolgenti, lo porta lì. Sempre. A confermargli che la sua mancanza di fiducia nelle persone è ultra motivata. A confermargli che non deve assolutamente per nessuna ragione abbassare la guardia, altrimenti potrebbe rimanerci secco.
Il fatto è che questa “scelta” inconscia è un’ottima scelta per proteggersi. I bambini con genitori imprevedibili e inaffidabili, violenti o trascuranti, imparano presto questo tipo di schema della mancanza di fiducia nelle persone. E per fortuna lo imparano! È questo che permette loro di sopravvivere. Anche se poi sempre di più questo tipo di pensiero li intrappola dobbiamo ricordarci che è stato un pensiero molto funzionale in quel tipo di famiglia.
Ha forse evitato qualche botta, ha sicuramente permesso di avere più vicina (o meno lontana) la propria figura di accudimento; inoltre ha garantito la sopravvivenza fisica e almeno in parte quella psichica. È stata un’ottima mossa questa per quel bambino. Se senti che ti manca la fiducia nelle persone non pretendere di cambiare magicamente; chiediti perché e soprattutto ringrazia quella voce dentro di te che ti tiene sempre allerta, perché è lì per proteggerti. Forse lo fa in un modo che non ti piace e allora puoi pensare di lavorare su te stesso. Ma lo scopo sarà modulare meglio questa mancanza di fiducia nelle persone, non farla scomparire.
Anche il sintomo che porta Matteo in analisi da me è significativo: l’attacco di panico, l’ansia. Siamo nel territorio della paura. Siamo nel territorio della sensazione di pericolo, della sensazione di poter morire, del non avere più il controllo su di sé. Se agli inizi della mia vita ho vissuto troppo spesso nella paura; e se fin dagli inizi della mia vita non sono stato aiutato a regolare quella paura; se anzi magari sono stato anche spaventato dalle stesse persone che dovevano proteggermi allora il minimo sindacale è che io non possa avere fiducia nelle persone. Perché faccio bene a non averne.
Il problema di Matteo non è l’ansia, non è l’attacco di panico: il problema di Matteo è riconoscere quella parte che ha paura e dirle: hai ragione tu! Partiamo dal fatto che hai ragione tu e poi da qui vediamo cosa possiamo costruire per vedere che non tutto fa paura!
Così un giorno gli chiedo di provare a pensare a questa mancanza di fiducia nelle persone che sente così potente e lui mi dice che non gli viene in mente nulla, solo una canzoncina che dice “La la la”. Mi si rizzano le orecchie, mi rendo conto che siamo in uno stato un po’ di dissociazione; pensare al senso delle mancanza di fiducia nelle persone lo mette in contatto con qualcosa che lo spaventa. Quindi si anestetizza canticchiando, come un bambino a cui stanno facendo un’ennesima puntura.
Gli dico del suo bisogno di anestetizzarsi e gli vengono in mente così tutte quelle situazioni che lo hanno portato secondo lui progressivamente alla mancanza di fiducia nelle persone. Gli chiedo di pensarci ancora un po’, ma riparte la canzoncina. A quel punto commento: “Ok, va bene, vuol dire che andare lì è troppo doloroso”. Finalmente Matteo comincia a piangere. Sente che non lo obbligherò a parlare ma se vuole farlo non accadrà nulla di male. Finalmente mi racconta degli abusi subiti per anni in oratorio da un educatore. Altro che mancanza di fiducia nelle persone.
Così, nel tempo, emerge tutto il suo dolore. Si è sentito umiliato e colpevole, perché a questo educatore lui ha voluto bene. Perché ha sentito delle reazioni fisiche di piacere, che lo fanno sentire ancora più colpevole. Spiegargli che ha provato piacere solo come reazione fisiologica determinata dal fatto che i suoi genitali funzionano è stato utile, ma ovviamente non sufficiente.
Dobbiamo lavorare sul suo senso di colpa. Ma poi soprattutto dovremo lavorare sulla sua storia d’attaccamento, sul non essere stato visto, amato e accettato prima di tutto in famiglia. Perché queste cose hanno inevitabilmente contribuito a portarlo lì, tra le braccia di un uomo abusante. Un uomo che gli ha offerto apparente amore e ascolto, che ha dimostrato interesse per lui, che ha sentito coinvolgimento per Matteo. Che poi se ne è approfittato, certo. Ma se Matteo è finito lì è perché era un bambino molto solo e non visto, capitato sulla strada di un criminale, che però l’ha fatto sentire importante.