Il senso di colpa è un sentimento molto disturbante e doloroso, che alcune persone provano spessissimo. Si presenta quando sentiamo di aver arrecato un danno a qualcuno o per il mancato rispetto di una regola che ha poi causato una vittima.
Il senso di colpa è spesso confuso con la vergogna. Ma la vergogna ha a che fare con una condizione di inferiorità e mancanza. Spesso i bimbi che perdono un genitore sentono di avere meno rispetto agli altri e per questo provano vergogna. Come se partissero sempre in una condizione di svantaggio.
Proviamo senso di colpa invece quando facciamo qualcosa di male, non quando lo subiamo.
Le persone vengono in terapia e vogliono disfarsi dei loro sensi di colpa. Normalmente li odiano e li vorrebbero solo cancellare. Ma dobbiamo ricordare che la colpa ha una funzione fondamentale: ci rende padroni della situazione, ci dà la sensazione di poter riparare.
Quando mi dico: “È colpa mia se ho subìto questo” in qualche modo riassumo il controllo di ciò che mi è successo. Trovo in me le ragioni di quello che mi è capitato perché, se è colpa mia, allora io posso farci qualcosa.
I bambini maltrattati per esempio non pensano: “Papà è cattivo”. Non pensano nemmeno: “La maestra sbaglia, non voglio più andare a scuola”. Spostano la causa su di sé, si dicono: “Io ho sbagliato, io sono monello, se io cambio lui/lei non lo fa più”. Questo meccanismo restituisce il controllo al bambino, che può credere di poter agire sulla realtà.
Il senso di colpa dunque è una gabbia, ma è anche un antidoto all’impotenza. Per questo spesso ci attanaglia e non riusciamo a liberarcene. Perché quella parte lì che combatte contro l’impotenza fa un lavoro talmente prezioso che non può mollare. Sta lì a proteggerci!
Chi sopravvive a un evento traumatico in cui altre persone sono morte spesso prova il cosiddetto senso di colpa del sopravvissuto.
Questo sentimento dipende, sostanzialmente, da due cose. Primo, la sensazione di essere stati più “fortunati” di altri. Secondo, il pensiero di non aver fatto abbastanza per evitare o prevenire quell’evento.
Ci sentiamo in colpa perché siamo salvi. Non vi è alcuna ragione razionale per cui dobbiamo sentirci così. Siamo anche molto tristi perché l’evento è accaduto. Eppure il senso di colpa del sopravvissuto lo proviamo comunque. Non ci perdoniamo forse di essere contenti che non sia capitato a noi, anche se a spese di un altro. Oppure ci sentiamo immeritevoli in confronto alla vittima, per esempio dal punto di vista etico.
Noi umani siamo esseri culturali. Vogliamo dunque muoverci sulla base dei nostri valori e delle cose che ci sembrano giuste. Diamo alle intenzioni anche maggiore importanza di quanta non ne diamo ai fatti. Questa è un’ottima cosa per la società: ci permette di cooperare in funzione di un bene comune.
Ci piace pensare che agiremo sempre in base a questi nostri valori. Infatti una delle cose più difficili da elaborare per i sopravvissuti agli attacchi terroristici è il fatto di essere scappati senza prestare soccorso ad altri.
La verità è che siamo mossi dalla razionalità solo quando ci troviamo in condizioni di sicurezza. Quando non dobbiamo preoccuparci della fame e della sete, del caldo e del freddo, dei predatori e dei nemici. Insomma quando non dobbiamo preoccuparci della nostra incolumità.
Il fatto è che siamo anche animali e abbiamo un profondo istinto di autoconservazione. È biologia, non cultura. Non è mediato, non è qualcosa che possiamo scegliere di avere o non avere. È naturale scappare dal pericolo ed essere felici di essere vivi, anche se a spese di altri.
Durante un evento traumatico agiamo in modi che non ci appartengono. Possiamo avere comportamenti che non sono neanche compatibili con il nostro sistema di valori. Magari restiamo immobili di fronte a un’ingiustizia e solo dopo ci tormentiamo chiedendoci il perché. Avremmo potuto agire diversamente, riguardando la situazione a mente fredda? È quando siamo al sicuro che si riattivano le nostre funzioni superiori, come i processi decisionali e di problem solving. Ma non ci perdoniamo e quindi sentiamo il senso di colpa del sopravvissuto. Anche solo divertirsi sembra riprovevole, come se equivalesse a negare la portata della tragedia.
Come ogni aspetto della vita mentale il senso di colpa ha una funzione importante. Abbiamo detto che aiuta a sentirsi padroni di ciò che ci accade. La mente fa sempre il meglio per sé. Sempre. Fa quello che può per auto curarsi, in base alle risorse che ha.
Perciò la prima cosa da fare è riconoscere che abbiamo bisogno di questo: di sentirci in una situazione di controllo, di padronanza degli eventi.
È importante capire che il senso di colpa non è un nemico da combattere, ma la risposta ad un bisogno. Mi protegge. Come la febbre cerca di mandare via il virus, il senso di colpa cerca di mandare via l’impotenza o la vergogna. Possiamo allora concentrarci sulla vera causa del nostro malessere, cioè la sensazione di impotenza.
Forse tutto questo ci farà essere meno giudicanti nei confronti di noi stessi. Inoltre ci farà essere più liberi di guardare gli eventi con occhi consapevoli. Quanto c’entro io davvero? Cosa avrei potuto fare di diverso? Se mio fratello mi raccontasse la stessa storia, cosa ne penserei?
Queste domande mi possono permettere di riconcettualizzare gli eventi e me stesso, andando oltre il senso di colpa.