Sviluppare competenza emotiva è uno dei compiti più importanti della crescita. È una delle più significative risorse psicologiche che possiamo avere e cercare di potenziare nei nostri figli. La competenza emotiva ha a che fare con l’espressione, la comprensione e la regolazione delle emozioni. È, potremmo dire, la capacità di dare un colore emotivo al mondo e di agire in esso sulla base di questo colore.
Sviluppare competenza emotiva vuol dire innanzitutto aumentare la capacità di riconoscere lo stato d’animo proprio e altrui e poi nominarlo. Dare un nome alle emozioni, saperle distinguere, è una competenza preziosa. Spesso il primo passo nella psicoterapia è imparare a dare un nome alle emozioni che si provano, distinguendole. Rabbia, tristezza, vergogna non sono la stessa cosa. Finché non so distinguerle non riesco a capire come mi sento, dunque vivo in un magma indistinto. Spesso arrivano persone che piangono continuamente senza avere alcuna idea del perché.
Sviluppare competenza emotiva vuol dire anche allenarsi a mettersi nei panni dell’altro. Significa quindi comprendere il senso di un comportamento pur considerandolo sbagliato, o non etico. Se io, pur non condividendo le tue ragioni, capisco cosa ha mosso le tue azioni posso riconoscere i tuoi bisogni. Non giudico, non condanno, ma provo a capire.
Riconoscere il ruolo delle emozioni all’interno di una relazione è un altro aspetto della competenza emotiva. Chi è emotivamente competente si rende conto che il modo in cui le emozioni vengono comunicate ha un ruolo centrale nel funzionamento di una relazione. Dire “Sono triste” è molto diverso dal dire “Sei cattivo”. Sviluppare competenza emotiva porta naturalmente a una comunicazione molto simile alla comunicazione nonviolenta teorizzata da Rosenberg.
Il gioco per i bambini è così prezioso anche per questo. Nel gioco non ci si giudica, è un gioco! Favorire le relazioni coi pari, creare occasioni di condivisione e confronto è un’ottima palestra per sviluppare competenza emotiva!
Almeno in parte sviluppare competenza emotiva accresce anche l’autoregolazione. Essere consapevoli del proprio stato e di quello dell’altro infatti aiuta ad esprimerlo prima che vi sia un’esplosione. Quando alla mattina in mezz’ora devo mettere un minimo in ordine la casa, preparare me stessa e due figlie, sono sempre a rischio esplosione. Se monitoro i miei stati d’animo li posso comunicare, o posso prendere provvedimenti. C’è più possibilità che io non esploda.
Sviluppare competenza emotiva permette di costruire la cosiddetta “funzione riflessiva”, una competenza al contempo cognitiva e affettivo-emotiva. Una scarsa competenza emotiva infatti produce problemi sul piano dell’attenzione, della percezione e dell’umore. I disturbi dell’attenzione, i disturbi d’ansia, i problemi di depressione e lo scarso rendimento scolastico e lavorativo si spiegano, almeno in parte, con uno sviluppo insufficiente della competenza emotiva.
Una scarsa competenza emotiva correla inoltre con i disturbi psicosomatici: non essendo abituato a riconoscere le emozioni e comunicarle non riesco a regolarle. Così le metto nel corpo: mal di testa, allergie, disturbi intestinali, enuresi ed encopresi. Fino ad arrivare allo sviluppo di tumori, problemi cardiaci e respiratori collegati ad emozioni non dette e a stress mai elaborati.
Mi viene in mente uno studio sulla conflittualità genitoriale. Un’alta conflittualità genitoriale nei primi mesi di vita di un bambino correla con un’anomala aritmia sinusale respiratoria nei figli a 6 mesi.
I bambini spesso finiscono in ospedale come portatori di una serie di problemi organici. Questi in realtà sono somatizzazioni che mettono in scena la ferite emotive dei loro genitori.
Sviluppare competenza emotiva è importante poi per prevenire o curare un disturbo che si chiama alessitimia, cioè l’incapacità di nominare le emozioni. Come detto, non nominare le emozioni vuol dire non poterle connettere con gli stati mentali e corporei. Questo ha a sua volta una ricaduta sulla possibilità di regolare l’emozione e “superarla”.
Essere consapevoli di se stessi e del proprio stato emotivo ha una importantissima funzione organizzativa. Se so cosa provo e cosa desidero posso pensarmi nel presente, ma anche nel passato e nel futuro. Posso riconoscermi come unità coerente. Quando sto male provo emozioni sconnesse, che non capisco a cosa si agganciano. Perché mi sono arrabbiata cosi tanto l’altra sera? Perché questa banalità appena accaduta mi ferisce a tal punto? Non capisco e mi pare che quella che si è arrabbiata o è rimasta ferita non sia proprio parte di me. Riuscire a capire il perché di quelle reazioni mi restituirebbe un senso di coerenza anche in quei momenti.
Solo se mi sento sufficientemente organizzata e integrata posso condividere le emozioni dell’altro, stare lì insieme, fare l’esperienza di “essere con”. E infatti i bambini con una scarsa competenza emotiva oltre alle difficoltà scolastiche hanno anche più difficoltà nelle relazioni coi pari. La scarsa competenza emotiva spesso è un segnale di attaccamento insicuro.
Se vuoi sviluppare competenza emotiva cerca di abituarti ad usare un linguaggio emotivo. Parlare di rabbia, tristezza, paura, gioia, vergogna, dolore, disgusto, gelosia. Fallo coi tuoi figli, quando hanno un comportamento che apprezzi: “Come sono contenta!” è meglio di “Bravo!”. Ma anche quando fanno qualcosa che non ti va, prova ad andare oltre alla prescrizione. Invece di dire “Così sì, così no” prova a dire: “Se corri così lontano non ti vedo e mi spavento, ho paura”.
Ogni volta che usi verbi come volere, desiderare, pensare, ritenere, scegliere ti stai riferendo allo stato mentale tuo o dell’altro. Ogni volta che dici a tuo figlio: “So che vorresti tanto quel gioco, anche se non possiamo comprarlo, mi dispiace” stai costruendo un pezzettino di competenza emotiva molto prezioso per la sua mente. Di fatto, così ti metti nei suoi panni e gli fornisci delle parole a proposito del senso dei suoi comportamenti. Di fatto, ogni volta che lo fai costruisci anche un pezzettino della vostra relazione in senso emotivo. E nella stessa direzione costruisci anche un pezzettino della tua mente.
Cerca di riconoscere il senso del tuo comportamento. Sospendi il giudizio anche su di te. “Ok, non lo dovevo fare, va bene, questo lo so già. Ma perché l’ho fatto lo stesso? Cosa è successo appena prima, come mi sentivo? E prima ancora?”
Guardare con occhi gentili se stessi e l’altro aiuta a regolare l’emotività. Se un bambino sta urlando perché vuole il cucchiaio invece della forchetta io posso reagire in tanti modi. Probabilmente verrebbe voglia di urlare anche a me, perché sono stanca ed è tardi e il cucchiaio di Spiderman non ce l’ho. Se mi sento in colpa perché non ho pensato a lavarlo probabilmente scatta in me anche una reazione autoprotettiva di rabbia, perché, insomma, sono stanca! Ho fatto mille cose, questa l’ho scordata, ti fai andar bene la forchetta! Ma se mi guardo con occhi gentili riconosco la mia stanchezza. Se guardo anche te con occhi gentili riconosco che è un tuo desiderio. Ok, te lo dico e te lo dico con gentilezza. Così, di fatto, ti faccio da esempio, ti mostro come si fa.
Abituare i nostri figli a sapere come si sentono significa fornirgli una bussola interna per muoversi tra le relazioni e sceglierle. Se io sono abituato a fidarmi di come mi sento percepirò se una persona non mi piace, mi mette a disagio, mi fa sentire in pericolo. Percepirò che voglio starne alla larga e più probabilmente potrò proteggermi, o chiedere protezione. Se poi dovessi malauguratamente finire nelle sue mani più probabilmente potrò raccontarlo e chiedere aiuto.